Dobbiamo un gallo ad Asclepio.

mercoledì 8 agosto 2012

CANTO DI SAN LUIGI ( Paul Claudel.Trad. da G. Miccichè)

Le maglie della rete sono aperte ed essa non c'è più. la rete che mi impaniava s'è sciolta e non ci sto più. non ho più che la prigione di Dio e il perfetto colore della terra. E' sempre la stessa messe ed è sempre lo stesso deserto. Nessuna strada vi porta ,non c'è mappa dei luoghi, Ma il lavoro è sempre lì nel fango,la piogggia e durare. Nessuna strada vi porta,se non il tempo e la fede a fine agosto. E non abbiamo cambiato di posto,con la voce radiosa d'intorno. Benedetto l'ostacolo per giungervi e i legami che mi tennero ! Ce ne volevano di forti e duri prima della prigione. Prigione è la mia maggior luce ed il più grande calore, visione della terra a fine agosto che esclude di stare altrove. Come potrei più pensare al passato e non curarmi del futuro, quando ciò che mi circonda è tale che non posso bastargli ? Come potrei curarmi di me,di ciò che mi manca o m'attende, quando Dio stesso quì fuori m'attira molto di più ? Il campo in cui sono è dell' oro e laggiù oltre le stoppie, quell'ineffabile rosa non è che la terra degli uomini! La terra stessa che per un momento assunse colori eterni, il colore di Dio con noi con tutte le umane tribù accampate. Ineffabile color di rosa e le moltitudini umane ci vivono ! Un mare d'oro e di fuoco accerchia le case e le tende. E' il giorno di San Luigi, Confessore e Re di Francia . Tengo un lembo del manto tra dita,grossa spiga rugosa dell'orlo . Dappertutto si innalzano biche di covoni ammassati, e fonde fumee crepitanti delle avene che non sono tagliate. D'oro è il tessuto e il bordo di velluto blu fondo simile a nero, come la spessa foresta che ier sera circondava Senlis. Come esser tristi quando ogni anno la stessa data in agosto è fatale ? Tristezza non è che un istante, la gioia è suprema e finale. La luce si sparge dovunque lentamente e la notte ha fugato. Grossi stormi di pernici mi frullano dinnanzi sulla terra lucente. So e vedo con gli occhi qualcosa di non ingannevole . Ride la terra e sa e ride e si acquatta nel grano e nei raggi ! A custodia del segreto svelato non è abbastanza tacersi !

giovedì 2 agosto 2012

PARDON DES OFFENSES

Da quando era stata inaugurata la linea del TGV Paris-Lyon ed era stata aperta la gare du Creusot che trovandosi a 7km dalla cittadina ha l'aria di una stazione di Far-West intorno a cui si prevede che in futuro si addenserà una civiltà, l'architetto Guy, che era anche un cartografo ed aveva inventato un metodo di proiezione della sfera sul piano tale che, a suo dire, eliminava ogni sorta di deformazione in barba a Mercator, aveva calcolato, strumenti alla mano, che St-Désert era l'ombelico fisico d'Europa, e più precisamente lo era la maison du 'Treuil' di sua moglie. Ormai dalla Gare de Lyon au Creusot passavano esattamente settantasette minuti, più quindici d'auto fino au Treuil (la carrucola ). Fu deciso, di conseguenza, che un'auto stazionasse in permanenza al parcheggio di quello che non era affatto il deserto western che mi ero figurato la prima volta, ma un importante centro della rivoluzione industriale del XIX° sec. dominata localmente dalla famiglia Schneider: acciai. Tanto importante che nello scudo araldico della città era stato messo un 'marteau-pilon', un maglio a vapore per la lavorazione di precisione dell'acciaio. Comunque questa famiglia, voglio dire quella du Treuil non aveva nulla da vedere con l'acciaio, poichè bisnonni e nonni erano proprietari di vigneti nella regione più reputata di Francia. Così, improvvisamente,'le Treuil' esplose: la signora aveva anche vinto un'annosa disputa con la sorella che aveva impugnato il suo diritto alla proprietà. L'architetto decise il ritorno all'ordine; e poichè nessuno capiva un'acca di vini fu recuperato un giovanotto del luogo, d'incerto avvenire, Marc; i terreni furono arati, messe a dimora le barbatelle, creati i filari bassi alla francese con paletti di legno e fil di ferro, acquistato un enjambeur, recuperati nelle cantine, tini, botti e forse anche la pressa. In questo furore da 'campagna del grano' mussoliniana, l'architetto decise, giustappunto, il recupero del grande grenier della casa che divenne una camerata con la carpenteria in vista e le velux sul tetto, per la felicità dei ragazzi che vi si istallarono immediatamente con trenini e tutto il resto dopo essersi spartiti coscenziosamente le zone d'influenza delimitate con i bauli e le ceste di vimini. L'architetto riservò a sua moglie e sè un bagno imperiale rivestito della bella pietra di Borgogna, una moquette spessa almeno 3 centimetri e rubinetteria dorata. Per la rue du Treuil andando verso Est si poteva facilmente raggiungere la grossa casa dei proprietari dello zuccherificio, compagni di giochi della generazione precedente ed il vicino villaggio di Rosey dove una famiglia di conoscenti abitava la casa settecentesca di un abate con boiseries e serrureries d'epoca magnifiche. Se, invece, sempre in quella direzione si piegava a Sud per la rue du Prieuré, si sarebbe lungheggiato il chateau Pardon, una dimora Luigi XVI con giardino e parco d'epoca. Ad Ovest non si andava, se non per una visita ai L.C., perchè c'era solo il villaggio di nessun interesse eccetto che per la latteria e la Posta, per il resto Chalon era vicinissima. Passammo estati piacevolissime prima dell'inizio delle malattie dei nonni; alle spalle delle case c'era famigerata,'la riotte-au-loups', ai vecchi tempi viottolo dei lupi, e nei pressi la 'pierre glissante', uno scoglio inclinato e lisciato da generazioni di bambini di famiglia che lo avevano usato come toboga. Non sapevo nulla della Borgogna e dell'incanto delle sue chiesette romaniche, nè 'du civet de lièvre' della stagione della caccia o dei "canons" de rouge da farsi servire 'au zinc' di prima mattina, solo qualche generalità sul vino e sulla pretesa dei suoi duchi di ergersi contro i re di Francia che avevo appreso in romanzi per ragazzi; ci trovavo somiglianze col paesaggio umbro-toscano, ma contemplavo le zolle con scetticismo: erano una mescolanza di pietra calcarea dorata e sminuzzata mescolata ad un pò di humus dello stesso colore che mi pareva povero e infecondo. Studi improvvisati mi resero noto che la terra vinicola borgognona consisteva nello strato di 30 centimetri che ho descritto riposante su di un solido letto roccioso; era stata pazientemente studiata e catalogata nel medio-evo da vari ordini monastici che ne avevano identificato tutti i terreni parcella per parcella, distinguendone quelli adatti alla vigna, che avevano suddivisi e classificati a seconda della qualità del prodotto possibile; non c'era assolutamente nulla da scoprire in Borgogna; la potentissima organizzazione dei viticultori sorvegliava ogni possibile abuso; se le terre non erano idonee alla vigna risultava dal catasto, la quantità d'uva permessa per ogni piede era strettamente stabilita in base alla qualità; stessa pratica per le denominazioni; le qualità partivano dal vino qualsiasi, quello da vendersi non imbottigliato 'à la pompe' ai premier cru e ai grand cru della Cote d'Or. Quattro vitigni: Chardonnay (bianco), Aligoté (bianco), Gamay (rosso) e Pinot Noir (rosso), il resto era virtù della terra. In quest'area possedere un ettaro nel posto più giusto significava essere agiati. Nella Yonne si fa il Chablis, nella Cote de Nuits il Gevrey-Chambertin, il Vosne-Romanée, il Nuits St.George; dalla Cote de Beaune vengono i Pommard, i Volnay, i Santenay, i grandi bianchi di Meursault( Puligny e Chassagne), dal Màconnais i bianchi Pouilly e St.-Véran e ancora Alox-Corton, Musigny, Clos de Vougeot(dove mangiai un coq-au-vin delizioso)e Mercurey. Ma il cuore è la Cote d'Or, divisa in Cote de Nuits (Nord) e Cote de Beaune (Sud). Sono celebri le aste annuali degli Hospices de Beaune che fanno capo all'Hotel-Dieu, un ospedale fondato nel 1441 oggi museo, in cui vengono battute botti dei 'Domaines des Hospices de Beaune', appezzamenti via via donati all' Istituto di Carità, il cui ricavato viene integralmente devoluto agli Ospedali collegati ad esso. L'evento gestito da Christie's nella III° domenica di novembre, ha risonanza mondiale. L'Istituto possiede 61 ettari che essendo ubicati lì equivalgono a 10.000 in qualsiasi altro posto del mondo e sono tutti situati intorno a Beaune. L'Ospizio è un edificio straordinario del XV° sec. i cui tetti colorati riproducono grandi disegni geometrici. La corsia principale dell'ospedale ha il tetto a carena di nave rovesciata con carpenteria in vista; i letti tutti a baldacchino con cortine rosse scorrevoli per l'isolamento (credo ci fosse ancora qualche vecchio indigente quando lo visitai nel 1971). Sulla parete di fondo il celebre trittico di Van der Weyden del 1443 'giudizio universale', è uno dei rarissimi dipinti rimasti al loro posto dall'origine, donatore un certo Cancelliere Rollin inginocchiato con la moglie sugli sportelli, interessanti per le quattro grisaglie a imitazione di sculture. Rispetto a questo paradiso del palato e della vista, St.Désert resta 43km. a Sud, il nome mi fece arrovellare invano ma è possibile che sia solo la deformazione in patois locale di St.Isidoro. Sarah si divertiva come una matta ogni estate perchè la nonna le consentiva di andare sulla strada pubblica dove non passava un'anima, e perfino fino al villaggio di Rosey, dove generalmente si recava per catturare un sempliciotto di guardia campestre che si tirava dietro in catene fino a casa dove si presentava con la sua preda sorridente che giocava come un bambino mentre lei faceva sul serio avendo deciso di diventare gendarme; in seguito dopo il 23 maggio e il 19 luglio 1992 aveva deciso di diventare giudice, ma le mancò la costanza necessaria. I vignaiuoli mi spiegarono che la loro terra era straordinaria, mi portavano nelle loro cantine lunghissime con volte a botte e temperatura costante di 5 gradi; erano necessarie delle gallette per assorbire il vino, e bevevamo spillando direttamente: i Yankees lo avevano capito durante la seconda guerra mondiale, asserivano, e verso gli anni 1960 avevano cominciato ad importare carichi di terra borgognona che sbarcavano in California nell'ipotesi di produrre Alox-Corton e Romanée-Conti; sorridevano: gli americani sono dei 'cons'. Tra i frequentatori della casa c'era una donna che occupava la dépendance, M.lle Julie, non so a qual titolo, forse perchè era stata l'antica guardiana, forse per pietà; mi stupiva sentirla parlare appropriatamente un buon francese, che dimostrava un'istruzione impensabile in una Siciliana pari grado; Fu lì che riconsiderai alquanto le mie opinioni sulle evidenti carenze educative del mio Paese. Poi finalmente si fece la prima raccolta, Anne era stata incaricata di disegnare l'etichetta e naturalmente vi mise un inchiostro della casa. St-Désert non è un grand cru, vino medio con difficoltà di collocamento data l'abbondanza. Nel cortile c'erano due mandorli; non avrei immaginato di schiacciare mandorle in agosto su un muretto borgognone raccogliendole dall'albero che mi faceva ombra, i ciliegi erano stracarichi, normalissimo per loro e meno per me, i pomodori dell'orto deliziosi, gli ultimi di cui serbo ricordo, la signora preparava la torta al rabarbaro piantato da Marc; adoravo le basse recinzioni delle aiuole fatte di meli nani che consideravo straordinarie e mi si stringe il cuore al pensiero che sono state estirpate. Prediligevo le colazioni all'aperto sotto il frondosissimo tiglio da cui non trapelava il più piccolo raggio di sole, e le 'monnaies du pape' che gli tintinnavano intorno nell'aiuola; la finestra della casa del contadino aveva una cornice in pietra con una piccola decorazione e Louis (che era soprintendente alle antichità)sosteneva che fosse stata recuperata da un edificio gallo-romano, infatti durante l'aratura di uno dei campi sulla strada di Rosey era saltata fuori la base di un edificio che un archeologo aveva dichiatato tale. Aprendo il cancello del lato Sud sulla strada pubblica, al di là di essa, un pò più in basso e in declivio si estendeva un gran vigneto coltivato alla perfezione: non una sola foglia fuori posto; l'ammirazione mi portò a sorvegliarlo per vedere chi lo coltivava, mi ci affacciavo a tutte le ore perfino all'alba: mai nessun; proprio al confine di questa proprietà con la strada, cioè sotto di me c'era una grande vasca vuota con decorazioni di ghisa, era una cosa di una certa pretesa che suggeriva l'idea di un giardino decorativo in un tempo andato. Dalla parte opposta si apriva il giardino interno du Treuil con in fondo un boschetto che si poteva contemplare dalla 'chambre-à-mouches', una camera da letto dove inesplicabilmente ad ogni ritorno di stagione si trovavano migliaia di mosche morte. Ma se mi affacciavo dalla mia camera da letto in stile veneziano ed lasciavo spaziare lo sguardo oltre la vigna misteriosa finivo sempre per fissare lo chateau Pardon con il giardino anteriore sulla strada ed il gran parco dietro; mi dissero che apparteneva ad un conoscente, monsieur Pardon, che ci viveva con la moglie, un ex mannequin. La signora continuava a ripetere al marito di portarmi in visita dai Pardon e ciò si verificò alla fine durante le vacanze di un Natale fra il 1975 e il 1977. Era abbastanza vicino, ma solo quando ci trovammo lì di fronte in auto mi resi conto che il giardino era in abbandono, l'edificio, invece, era in ottime condizioni in ogni sua parte, comprese tutte le finestre, porte e lucarnes sui tetti. Venne ad aprirci il sig.Pardon in persona soave e lieto, che tutti chiamavano: 'Pardon-des-Offenses', una formula generica di scuse che giocava sul nome. Ci introdusse nel suo 'appartamento' se così devo definire quello che apparentemente sembrava essere stato un servizio di quel palazzo di almeno cinquanta stanze; era un'unico ambiente con un cucinino e un bagnetto ricavati da due bugigattoli nel fondo. La signora stava su una sedia a rotelle, paralitica, lo sguardo stralunato della demenza senile, porgeva un occhio curioso avido di novità e al tempo stesso completamente vuoto; i suoi capelli stinti erano irti e conservavano tracce di una cura di parrucchiere che doveva risalire almeno al Natale precedente, indossava una vestaglia azzurra gualcita e pantofole; la stanza era in disordine: medicine, biancheria, piatti, resti; il sig.Pardon continuava a gratificarci del suo sorriso incantevole mentre l'architetto gli snocciolava la dovuta serie di gentilezze che le buone maniere imponevano e lui si chiedeva, suppongo, la ragione della visita, se fosse una visita natalizia del suo vicino o altro; infine l'attenzione fu spostata su di me e sul mio interesse a visitare la sua dimora. Mentre tutto ciò si verificava ero oltremodo turbato e disturbato dall'insopportabile lezzo di orina che permeava la stanza le cui esalazioni erano esaltate dal calore; si sa che organi come il naso e il palato vanno del tutto fuori uso se sottoposti a stress eccessivi, il che mi suggeriva che il sig.Pardon non sentiva affatto ciò che sentivo io. 'Bene, facciamo un giretto', disse Pardon approvando la richiesta con compiacimento, e gli vidi staccare da un gancio un pesante pastrano che doveva aver visto la campagna napoleonica di Russia, e un basco che calzò a fondo. 'Che abbia capito che desidero visitare il parco?' mi domandai deluso, invece aveva capito benissimo; ero io ad ignorare la differenza di temperatura tra la stanza in cui viveva e quella generale dello chateau che era prossima allo zero. Uscimmo e cominciammo ad avanzare su una soffice coltre di polvere che sostituiva bene la piacevolezza dei tappeti; dai grossi fanali dello scalone pendevano enormi ragnatele come sartie di nave e non appena ci scambiammo qualche parola partirono pipistrelli in ogni direzione; mi rincuorai, la loro presenza mi assicurava che non erano stati sparsi troppi pesticidi come dalle mie parti dove sono scomparsi; ero abbastanza felice; al piano, la grande sala da pranzo dove l'immenso tavolo e le pesanti sedie giacevano sommersi; nei buffet faceva bella mostra un vasellame prezioso completamente ricoperto di strati grigio-topo; tutto appariva come un cantiere archeologico, una specie di Ercolano del XVIII° secolo. Nella galleria monsieur Pardon aprì qualche porta di camera da letto, con tutti i mobili d'epoca e fino i copriletti sui letti, le tende pendevano a pezzi. Per un istante ebbi la sensazione di trovarmi in visita agli studios di Hollywood, in un teatro di posa in cui fosse stato allestito il set di un film dell'orrore, solo non provavo alcun senso di paura o di ripugnanza ma solo un gran sentimento di simpatia per il mio ospite innocente e naturale che continuava imperturbabile nel suo celestiale sorridere contentissimo degli amici in visita. Fu un evento; quando tornammo fuori nell'aria tersa e tagliente, l'architetto mi informò che la vecchia paralitica maleodorante era stata una delle più belle donne di Paris tra il 1905 e il 1914, mannequin di Paul Poiret un genio della moda adorato dal tout Paris, che teneva feste leggendarie, una di queste che venne denominata 'La mille e due notti' servì al lancio della sua linea di profumi: 'Notte Persiana' e 'Minareto'. Durante la guerra del 1914 si mise a disposizione della Patria facendo uniformi militari, ma quando tutto tornò alla normalità, nel 1919, saltò fuori Coco Chanel che tagliò le gonne ed i capelli ed abolì tutti i fronzoli art-nouveau; lui non fu in grado di rinnovarsi, andò in rovina e finì come pittore di strada; il suo funerale fu pagato dall' amica Elsa Schiapparelli. Trassi un profondo sospiro. In seguito chiesi regolarmente nuove di monsieur Pardon fino a quando fui informato che i suoi eredi avevano venduto il chateau ad un ricco macellaio di Chalon; anni dopo mi accorsi che il giardino era stato restaurato alla perfezione ed anche il parco; il chateau ora aveva i vetri brillanti che straluccicavano al sole accecandomi quando vi affissavo lo sguardo rivolgendo il mio pensiero al buon monsieur Pardon. La notte di quel pomeriggio tutta la famiglia si recò alla messa di mezzanotte, nella chiesa del villaggio, officiata dal povero parroco che tra l'altro era tisico. Quando all'Elevazione della celebrazione in rito antico, levò le braccia, con esse si sollevarono la sua casula sdrucita e il camice che lasciò brevemente scoperti i suoi stinchi magri; calzava scarponi da contadino senza calze, il freddo intenso era mitigato dal fiato dei paesani. Mi chiesi con chi avrebbe desinato quel sacerdote, fui intenerito dalla semplicità di un complesso di tre ottoni fuori moda che accompagnavano i bei canti di Natale francesi e fra essi quello che amo di più . 'Il est né le divin enfant Jouez hautbois, résonnez musettes ! Il est né le divin enfant Chantons tous son avénement!... melodia del XVII° sec. di portata nazionale. Come a tutti gli egoisti del mio stampo, un velo scese a coprirmi i sentimenti non appena varcai la soglia della casa perfettamente riscaldata elettricamente, appena mi fu messo in mano un calice, appena seduto a tavola ebbi i miei crostini caldi nel lino di bucato,il delizioso burro dell'unica vacca charolaise che veniva munta, il mio foie-gras e il Sauternes, appena arrivò il gigot fumante dalla cucina e porsi il mio piatto ben caldo al forchettone dell'architetto, e appena affondai il mio coltello dal manico di corno di cervo nella carne morbida. Poi si andò tutti in salotto dove un immensa trave di una decina di metri e mezzo di spessore reggeva il piano superiore da secoli; fu la festa dei pacchetti e si concluse il Natale.

giovedì 26 luglio 2012

C A N O N E

'L'uomo è la misura di tutte le cose; di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono'. Così,antropocentricamente si esprimeva Protagora nel V° sec.a.C.,nella citazione di Platone,costatato che l'uomo è l'unico essere pensante. Non aveva riflettuto,il greco, che la mente misura se stessa più che il reale e che non misura ciò che non è anzi giudica non-essente ciò che non individua. Si potrebbe aggiungere che ogni misurazione è falsa dipendendo dai sensi; il dogma che affermava il sole girare intorno alla terra è testimonianza dello scambio tra apparenza e realtà e delle sue infauste conseguenze. La scienza riduce la macroscopicità della falsità ma non la elimina nè è in grado di giungere alle masse, sta di fatto che l'affermazione apodittica dell'occhio di Giosuè viene smentita dal cannocchiale e questo dal radiotelescopio; la riduzione del falso viene operata attraverso regole che organizzano osservazioni fatte con attrezzature via via più raffinate, ma a patto che sia garantita la falsificazione degli enunciati.C'è un'attività in cui una realtà intuitiva può essere colta attraverso lo studio dell'apparenza nell'inganno dei sensi. La persuasione filosofica di Protagora viene utilizzata dal suo contemporaneo Policleto che concepisce il Canone, un criterio scientifico di indagine del valore dell'apparenza per l'intuizione . Un artista si occupa di argomenti opposti a quelli dello scienziato,ma può utilizzare la scienza ai propri fini,mentre un pensatore come Platone parte da osservazioni pratiche e razionali per stabilire un mondo di astrazioni intuitive o anche metafisiche e irreali. Esistono almeno tre tendenze principali della mente umana intesa a costituire depositi di conoscenza, sicuramente hanno molto in comune, compresa l'idea di regola. Il Canone di Policleto rivoluziona l'arte mettendo in secondo piano il principio acquisito della simmetria che resta implicito, elaborando il concetto di proporzione di discendenza pitagorica ed euclidea; il canone delle idee consiste nella storia della filosofia...(ma questa è una divagazione). Dello stato del canone estetico attesta Le Corbusier venticinque secoli dopo Policleto, la persona più adatta,perchè le sue fondamenta stanno nelle regole dell'architettura e delle arti figurative ,non solo ma quest'architetto parte dal Modulor che segue lo stesso genere di elucubrazioni di Policleto per giungere alla Chapelle di Notre-Dame du Haut che, a prima vista sembra rinnegarle. Mi capitò per puro caso di visitare la Chapelle durante un viaggio in auto nel Jura; poco dopo Belfort, indimenticabile per il colossale leone seduto tra le rocce ,mi si parò dinnanzi il cartello di Ronchamp, del tutto imprevedibilmente, che mi fece deviare in un battibaleno; era l'imbrunire di una lunghissima serata nordeuropea,che mi faceva ritenere di aver tutto il tempo necessario a disposizione,invece dovetti commettere il mio unico delitto di violazione di proprietà privata perchè il cancello era ormai chiuso ed io ero certo che non sarei mai più passato da lì; decidemmo,con la mia compagna, di scavalcare il muro sbucciandoci mani e gambe, sapevo che il rischio e il dolore non avrebbero contato rispetto all'emozione da una delle opere del XX° sec. che più mi aveva colpito nelle immagini; così fu e anche di più,perchè solo vedendo realmente realizzai che in età avanzata Le Corbusier poteva aver rinnegato il razionalismo, e questo è il meno,la differenza tra il guardare una foto e lo stare 'nell'opera' è immensa. I due luoghi vicini che ho ricordato erano anche due pietre miliari della resistenza nazionale francese: la Chapelle andava a sostituire una chiesetta del IV° sec.,luogo di pellegrinaggio,bombardata nella II° guerra mondiale,mentre il leone incarnava la resistenza all'invasione prussiana del 1870. Tornando a Protagora egli è considerato inventore dell'antilogia discendente,immagino, dal suo scetticismo: elaborava da solo dispute su un unico argomento sostenendo tesi contradittorie per dimostrare la sostenibilità di qualsiasi punto di vista,cioè negava il valore della ragione. Mi sembra ovvio che Policleto abbia tratto da Protagora le premesse filosofiche del Canone utilizzandole in senso completamente opposto e questo era affar suo.E' probabile che egli sia stato il primo teorico dell'arte lo si dedurrebbe dal titolo del trattato( che non ha precedenti storici noti) e letteralmente significa CANNA,(un tipo di misura che dalle mie parti esisteva ancora mezzo secolo fa)e per estensione,regola. Lo scultore fece quella che oggi si chiamerebbe un'indagine demoscopico-antropometrica misurando un numero di individui tale da potersi sentire autorizzato a stabilire i dati medi del corpo virile greco eretto e cercare di accertarne le proporzioni delle parti e i relativi rapporti numerici con l'obiettivo di creare una statuaria ideale di belle proporzioni e di movimenti naturali. Il Canone,perduto,ma di cui riferiscono alcuni autori antichi, si concentrava sulla proporzione di ogni singola parte rispetto all'altra: il dito con la mano l'avambraccio col braccio,le gambe col torso e la testa col tutto. Al corpo venivano applicate regole già in vigore in architettura, che può essere immaginata come il riferimento assoluto delle altre arti. I rapporti numerici identificati da Policleto erano : testa uguale a 1/8 dell'altezza totale,busto 3/8,gambe 4/8,più o meno. Un secolo dopo la statuaria di Policleto era giudicata quadrata essendovi stato individuato il principio del chiasmo,ovvero la corrispondenza incrociata delle parti opposte. Tuttavia la teoria di Policleto la si ritrova in Vitruvio ,architetto romano del I° sec.a.C.,noto sopratutto come teorico: Carlo Magno,Petrarca,Boccaccio,Bracciolini,Ghiberti,Alberti,F.sco di Giorgio e Raffaello possedettero tutti il suo trattato,quanto a Leonardo ne illustrò il senso nel celebre disegno della galleria dell'Accademia di Venezia noto come 'Uomo Vitruviano',che illustra le proporzioni ideali del corpo, iscrivibile in due figure geometriche perfette: il quadrato e la circonferenza. Leonardo conobbe Francesco di Giorgio che aveva tradotto parti del 'De Architectura',lui non conosceva il latino e si giudicava illetterato, in proposito avendo profittato dell'amico; il disegno è accompagnato da due legenda esplicative che riportano le misure proporzionali date dall'architetto romano. Questo lavoro di Leonardo mira ad affermare la pittura come attività scientifica intesa alla comprensione della realtà fenomenica nella corrispondenza tra corpo e geometria. Effettivamente intorno ai problemi relativi alle proporzioni, sia in matematica che in geometria ,si è spesa la cultura italiana ai tempi in cui esisteva (cioè fino al processo a Galilei). Fibonacci (che introdusse i numeri arabi in Europa), nel XIII° sec. immaginò una serie numerica che iniziava dall'unità, tale che ogni numero successivo risultasse la somma dei due precedenti : 1,1,2,3,5,8,13,21,34,56,90...e così via ; si scoprì che questa sequenza possedeva qualità sorprendenti e in particolare che il rapporto di un termine col suo precedente ,nella progressione infinita dei numeri naturali tende al numero irrazionale corrispondente alla sezione aurea. Keplero osservò che la geometria possiede due tesori,il teorema di Pitagora e la sezione aurea( che è la divisione del segmento secondo il rapporto medio ed estremo). Questo secondo tesoro è giustappunto quello della proporzione intorno a cui la mente umana si affanna dai tempi di Policleto senza essere mai riuscita a capire se esso è vero o pura fantasia.Il relativo concetto geometrico venne inizialmente studiato nell'Italia meridionale dalla scuola pitagorica nel VI° sec.a.C. che stabilì il principio d'incommensurabilità; tale scoperta venne fatta nello studio del pentagono regolare che rimase collegato per sempre con le attività magiche. La sezione aurea è connessa al rapporto tra un lato e la sua diagonale (nel pentagono); tracciandone tutte le diagonali,la loro intersezione determina un pentagono più piccolo per il quale vale lo stesso ordine di rapporti e così all'infinito. Fu Euclide a formulare esplicitamente il principio : un segmento è divisibile in modo diseguale, tale che la parte più lunga sia medio proporzionale tra la più corta e il totale.Il concetto trasferito in matematica è quello della sequenza di Fibonacci o dell'incommensurabilità: due grandezze sono tali quando non hanno un sottomultiplo in comune,che è il caso della Divina Proporzione,in quanto il loro rapporto dà origine ai numeri irrazionali, quelli la cui espansione non ha termine. Agli inizi del XVI° sec. fra' Luca Pacioli,compaesano e allievo di Piero della Francesca,sommo pittore universale,influenzato da Leonardo con cui collaborò,scrisse 'Della Divina Proportione', corredato delle incisioni dell'amico milanese,le cui problematiche vertono sulla sezione aurea da applicarsi all'architettura. La verità è che grandezze anche connesse,come le misure del corpo,molto spesso sono incommensurabili e ciò comporta che è impossibile risolvere i problemi relativi alla proporzione, infatti la sequenza dei numeri naturali di Fibonacci determina un rapporto irrazionale in ogni suo punto. Come appare chiaro le problematiche del Canone occupano menti di artisti e matematici da oltre venticinque secoli e le ritroviamo nel XX° nel Modulor di Corbusier. Il riflesso di queste diatribe in estetica è che,per esempio,l'estetica di Policleto fu contestata un secolo dopo la sua formulazione da Lisippo (artista prediletto da Alessandro Magno) che,mettendo da parte il Canone scambia il proprio punto di vista con quello del suo fruitore, in tal modo rendendo inoperanti regole come il chiasmo e la proporzione ; entrano in gioco altre esigenze : la prospettiva,per esempio. Lisippo rimpicciolisce la testa,dà espressione alla capigliatura ( il Satiro di Mazara del V.,infatti fa pensare a lui),rende il corpo più snello. Dei suoi predecessori diceva che avevano rappresentato il corpo com'era (il che tra l'altro è falso) ,mentre lui lo rappresentava come appare alla vista (naturalmente l'opinione era errata ma non è questa la sede per criticarla). Tra le caratteristiche di Lisippo c'è la cura di minuzie e particolari che lui introduce nella scultura ,accorgimenti già adottati nell'architettura come quelli prospettici e modulari. E' probabile che una più chiara visione del procedimento mentale di un artista greco implichi un'idea di ciò che pensava relativamente alla visione : essa sarebbe stata determinata da raggi che uscendo dall'occhio colpivano la forma degli oggetti deformandola; ciò da ragione dell'estetica di Lisippo che deforma la sua statua allo scopo di ristabilirne la vera forma neutralizzando l'inganno sensoriale e,quindi,ristabilendo la verità reale delle forme; è chiaro che gli architetti si erano già posti queste problematiche nella costruzione del tempio in cui vengono predisposte varie alterazioni di simmetria, perpendicolarità ,uniformità essendosi rilevato che il rispetto delle regole della geometria provocava una visione deformata del manufatto : e questo era vero. Il Canone non ha retto alla luce dei fatti e ciò ineluttabilmente si estende al dogmatismo metafisico di cui in seguito verrà dimostrato l'errore (l'arte subisce un complesso e millenario travaglio allo scopo di raggiungere un'apparenza che testimoni la realtà; è strano ma è così). Può apparire curioso l'atteggiamento di Corbusier che continuerà ad affaticarsi nella ricerca di proporzioni geometriche e matematiche originantesi nel corpo umano e da utilizzare per il miglioramento estetico-funzionale degli edifici; il suo criterio parte dalle misure di esso,dalle idee di Lisippo e dalla sequenza di Fibonacci che,come si è detto ha la proprietà di tendere al numero di Fidia (la sezione aurea viene simboleggiata dal 'phi' che è la lettera iniziale di Fidia). Il suo autore dice di esso: una gamma di misure armoniose per soddisfare la dimensione umana ,che può essere applicata ad altre attività tecniche. Nella rappresentazione grafica (mi pare che ne sia stata collocata una nei pressi dell'ingresso dell' 'UNITA' DI ABITAZIONE'di Marsiglia),la figura umana è stilizzata con un braccio alzato verticalmente con accanto due misure verticali, una fondata sul plesso solare con probabile allusione orientaleggiante ai chakra, l'altra su quella della figura intera con braccio alzato raddoppiata rispetto alla prima ed entrambe suddivise secondo il principio del medio proporzionale della sezione aurea; che il Modulor sia un criterio arbitrario quanto il Canone o la visione prospettica di Lisippo non c'è dubbio ,comunque anche Mondrian l'usò per costruire i suoi rettangoli e c'è chi sostiene che lo abbia fatto Debussy. Ho trovato affascinante seguire l'evoluzione di Corbusier e in parte forse me la sono inventata,ma non è certo. Nei fatti a Paris ho visitato fra l'altro anche la 'villa La Roche' che è sede di una fondazione a suo nome . Questo manufatto fu concepito come bifamiliare ,l'altro proprietario essendo il pianista Wittgenstein, quello per il quale Ravel compose il concerto per mano sinistra, o forse,invece,il cugino dello stesso architetto. La villa fu costruita verso il 1923 all'interno di un cortile di siepi,mi pare,con limitazioni di spazio enormi e scoraggianti; il committente principale era un banchiere svizzero che desiderava esporre la propria collezione d'arte. Le Corbusier si ingegnò nella creazione di un percorso all'interno di una casa minimalista e brutalista con scale,rampe,passaggi e terrazze aggettanti nel salone principale ed elementi di mobilio in cemento armato gettati con la costruzione; la visita emoziona perchè si sente una pulsione estetica di genere contemplativo ed ascetico che è straordinaria rispetto alle comuni esperienze dell'architettura,il fatto sbalorditivo : la commessa veniva da un finanziere ,ma tant'è : un pugno nello stomaco.L'orientamento razionalista dell'architetto ha un contenuto fortemente minimalista con evidente riferimento sociale che sarà sempre presente nelle opere e,a mio avviso, condurrà ad esiti imprevisti. Da un lato l'estremo limite del razionalismo ascetico del 'Cabanon' di Cap-Martin che è l'applicazione ortodossa del Modulor e che lui chiamava :'Il mio castello di 16 mq.',dall'altra la Chapelle di N.-D.du Haut già menzionata nella quale se applicazione del Modulor c'è io certo non l'ho veduta ed in ogni caso sarebbe soverchiata da esigenze più urgenti e decisive. Come che sia questo è il mio punto di vista sull'utopia del Canone estetico e geometrico-matematico. In essa la mia personalissima persuasione si basa sull'esame della Chapelle, dove mi sembra che l'artista verso la fine della carriera pare non credere più alla soluzione dei problemi dell'esistenza per via razionale e decida di orientarsi ad oltranza verso un brutalismo primitivistico zeppo di visioni e allusioni infantili oniriche e mistico-orientaleggianti. Quì il cerchio si chiude nell'involontaria dimostrazione che la tesi sull'antilogia di Protagora non era un esercizio di stile e forse non valeva la pena sprecare venticinque secoli per rendersene conto. Stranamente, quasi a conferma della precedente conclusione sta l'adozione di questo celebre termine pagano che si riferiva alla bellezza dell'apparenza ,da parte degli esegeti delle Sacre Scritture .La formazione di questo canone non fu meno accidentata dell'altra,da decisioni conciliari,dispute sapienziali,scismi,anatemi e scomuniche tra : Ebrei, Samaritani,Ortodossi, Cattolici, Protestanti,Copti e Siriaci. Tra i Cristiani non sussistono contestazioni riguardo al canone neoTestamentario, ne sussistono tra tutti su quello veteroTestamentario.Il che porta a credere all'impossibilità della concordanza su qualsivoglia canone. Ma con una differenza : il canone estetico non ha mai avuto pretese di essere fissato definitivamente e addirittura il suo oggetto principale (il corpo umano) ha cessato di stare al centro di ogni controversia. Il canone religioso,stabilito da millenni, è dogmatico,cioè immutabile,ma di un'immutabilità che restando tale deve accomodarsi con la realtà senza darlo a vedere. Questo tipo di approccio si è rivelato distruttivo non tanto per la vita umana che è secondaria, ma per la cultura che condiziona il progresso.E' il caso di quella italiana che si può considerare finita nella più completa decadenza con la condanna del pensiero di Galilei. E',peraltro singolare che la Chiesa non si sia peritata di sostenere l'apparenza che in termini di fatto coincide con la menzogna dell'inganno sensoriale contro cui i Greci ci avevano messo in guardia venticinque secoli fa. Dimostrando una rigidezza assoluta nella distinzione tra menzogna e verità ,la Chiesa ha finito per negare se stessa nella negazione della Carità a favore della menzogna non solo ma rifiutando il saggio consiglio di Galilei a Bellarmino, che le Scritture non vanno prese nella loro lettera,ha condannato Galilei per poi alla fine adottarne l'approccio teologico dimostrando così che anche in quello specifico settore l'uomo che condannava le era superiore.Ma queste considerazioni sono perfettamente inutili perchè non conducenti. Mi sembra accertato che un canone sia uno strumento di ricerca e non una verità eterna. Citerò un uomo che non stimo : 'solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze. il mistero del mondo è il visibile non l'invisibile'. Sono certissimo che Wilde non si sia mai reso conto della portata di ciò che affermava, essendo troppo narcisista circa il proprio wit. Sta nei fatti che l'arte espone un genere di verità intuitiva fondato sull'apparenza. Il numero fatidico : 1,618 relativo alla sezione aurea diventa insignificante.

venerdì 20 luglio 2012

CREDO QUIA ABSURDUM

I poli del cristianesimo sarebbero due se si eccettui quello riguardante la filosofia della storia etico- sociale del mondo cui appartengo. Di essi l'Annunciazione è quello che non si percepisce chiaramente presso i Riformati per un serpeggiante sentimento iconoclasta che, invece, è esplicito dai musulmani per radice biblica : infatti ogni concezione di ortodossia è arbitraria. Da noi straromani, la Bibbia è elastica dato il nostro possibilismo etico, come lamentarsene quando la fede è un tripudio,un trionfo ottico delle più varie interpretazioni, e meno male ; le nostre chiese sono luoghi gloriosi cui tutti apparteniamo e che ci appartengono ; l'ipotesi di non credere suonerebbe stonata, prima che blasfematoria per la Congregazione della Dottrina della Fede, per la storia e la critica d'arte. Perfino i maggiori musei dei Protestanti devono il loro lustro alla pittura e all'arte cattoliche. Senza l'editto di Teodora dell'843 non esisteremmo. Che di esso si sia avvalsa la simonia è secondario. L'elenco dei maestri dedicatisi all'Annunciazione è lungo quanto il catalogo di don Giovanni e poco interessante se non s’immagini di ricavarne un costrutto trascegliendone opere ai fini di un significato coerente. Il mio cerca un ordinamento teologico nell'umano per contestualizzazione storica ed è arbitrario indubbiamente eccetto che si dimostri l'insensatezza della disciplina storicistica. Per prima ho scelto l'Annunciazione degli Scrovegni. Committenti usurai anelanti al riscatto ; sul luogo una università di recente apertura ed immagino che Giotto abbia seguito le indicazioni della facoltà di teologia. La ragione della scelta è anche che quelli furono anni determinanti della nuovissima teorizzazione teocratica ; il movimento mendicante e spiritualista dei francescani era stato debellato e Bonifacio VIII , probabile istigatore delle dimissioni di Celestino V° , accusato di simonia da Filippo il Bello, schiaffeggiato ad Anagni e collocato da vivo all'inferno dal nostro maggior poeta, aveva indetto il primo Giubileo dell'anno 1300 (basato sulla 'perdonanza' di Celestino), che diede l'avvio alla simonia ufficiale, ed aveva sancito in varie bolle il trionfo temporale della Chiesa e la sua indipendenza da qualsivoglia autorità. Dante assistette al passaggio dei pellegrini da Firenze per recarsi a Roma e non mancò di raccontarlo. Ecco perché la Cappella è un perno culturale ineludibile. Vi è un'Annunciazione singolare con i due personaggi alla massima distanza l'uno dall'altro per causa dell'arco trionfale al di sopra del quale è collocato Dio con la sua decisione, mentre per l'evento non restano che i due ristrettissimi spazi tra gli estradossi e i muri della navata. Giotto, nel tentativo di allargare la scena immagina due stanze, il cui lato volto ai fedeli può essere chiuso solo da una tenda, una per ogni lato dell'estradosso: a sinistra il messaggero, convenzionale e a destra l'Annunziata al tempo stesso convenzionale e non: è una signora di una certa età, agiata e sicura, una matrona inginocchiata accanto ad un curioso mobile che sembra una scrivania con leggio. Sulle due stanze aggettano due altane che allargano un pò gli spazi. Ciò che non sembra evangelico ma temporalistico è la condizione agiata e intellettuale e l'età relativamente avanzata: stabilisce un precedente definitivo. Non è possibile non rimarcare che il tetto a capanna e la navata unica, elementi distintivi del pauperismo francescano, siano esplicitamente negati dalla volta a botte e dall'abbacinante splendore del lapislazzuli. Gli Scrovegni sono il punto di arrivo di un travaglio teologico che risistematizza il vangelo in un'ottica assertivamente terrena. Per Simone Martini, che non aveva chiese a disposizione, architettura e pittura s’integrano idealmente grazie ad un intelligente stratagemma: l'ideazione di una cornice gotica policuspidata che deve rendere l'immagine della chiesa; nelle cui arcature egli colloca i due contraenti del negozio su sfondo astratto d'oro, dove la vergine è una giovane intellettuale seduta e impaurita che l'angelo bello cerca di rassicurare porgendole una fronda mentre nei pannelli laterali occhieggiano due sante estranee al racconto. Bernardo Daddi vede la vergine ,donna fatta, non la fanciulla che immaginiamo, pienamente sicura e, tuttavia da proteggere con una specie di teca architettonica psicologicamente impenetrabile, un tappeto o porzione di pavimento, una predella e una tenda angolare che la isola dal mondo retrostante (davant non c'è altro che la fede); la sua postura è assurda, a metà tra appoggiata a una panca e in piedi; le braccia non si curano del libro che le scivola dal grembo nell'atto improvviso di alzarsi; i messaggeri sono una delegazione, più importanti di lei; l'attenzione dell'allievo di Giotto è liturgico-decorativa; ormai è stato deciso che la vergine appartenga a famiglia benestante e istruita, infatti, dispone di uno studio, di una scrivania, di un leggio e di libri (si fa astrazione dalla realtà ebraica di pastori seminomadi; il vangelo non lo legge nessuno, sono tutti analfabeti). Con Filippo Lippi la Chiesa è ormai moralmente sicura dei propri orientamenti temporalistici all'uscita dal medio-evo, essa intende entrare nell'umanismo che in gran parte ha determinato: la scena viene concepita nel segno dell'eleganza cortese e mondana, ambiente fastoso di un palazzo, lo studio si apre con triplice arcata su un giardino interno fuori dal quale si gode un paesaggio di raffinata cultura botanica; la vergine è una donna benevola e l'angelo un famiglio umile sovrastato dall’indiscutibile superiorità di lei ad un tempo femminina e sociale; marmi e pilastri decorati, profusione di ornamentazioni. E il vangelo? Botticelli, se possibile, incrementa il lusso; il rilievo degli abbigliamenti è fastoso ed eccessivo, nel paesaggio retrostante un unico albero d'alto fusto e una città che vapora nell'aria perché ormai la cultura è urbana, il medioevo archiviato; Gabriele si sottomette alla prorompente femminilità neoplatonica e carnale che lo sovrasta completamente e che consentirà solo all'imperativo della maternità che le fermenta dentro; l'artista rileva l'opulenza, attributo maschile che, pare possa tutto. Leonardo non ha esitazioni nello scegliere la terrazza di un palazzo patrizio pienamente rinascimentale i cui proprietari non si curano di esporre alle intemperie una costosissima ed esorbitante scrivania con leggio, tutta intagliata e scolpita e dorata e dipinta; la gran signora aristocratica, di fattezze raffinate ed esotiche non è adusa a temere, sta sicura semiabbandonata sul suo scranno, braccio indolentemente poggiato sul muretto mentre con la mano sinistra sembra dire: ebbene, a cosa devo questa intrusione? Il paesaggio è curato da un esperto di alta professionalità in tempi in cui nel resto d'Europa i re possedevano foreste selvagge infestate di belve. La vergine, il vangelo è stato accantonato, è super istruita e educata, abituata a trattare con principi e familiare di Baldassare Castiglione e a disprezzare e schiacciare chiunque sotto la propria irraggiungibile superiorità. Presso il Perugino si verifica una caduta estetica, tutto è espressione di altissimo artigianato, di coscienziosa e pedissequa esecuzione di una commessa, di cura nell'attenersi ai dettami, a non mettere nulla di proprio; la sua scena è accademica un pò stucchevole; solita camera, apertura sullo stesso paesaggio, tra i due interlocutori un incongruo libro su una panca come la spada tra Tristano e Isotta. Anche il suo allievo Raffaello è formale e un pò fuori posto; sembra trovarsi a un arrivo nell'atrio di palazzo Farnese se non fosse per il paesaggio finto; l'artista ha molte frecce e si è inventato l'atterraggio dell'angelo in linea con la situazione precaria predetta, ma sbaglia completamente con la vergine che non c'entra per nulla con la scena; sta seduta sparuta come una portinaia su una seggiola con il suo inaudito collo storto alla bizantina. La seconda invenzione è la polarizzazione su blu e rosso che influenzeranno tutta la pittura romana, ma il pittore non sa che pesci pigliare col dogma ed è obbligato a costringere la forma esteriore in sostanza per l'insufficiente risoluzione del proprio contenuto. Un colpo di genio pervade Lorenzo Lotto che trasferisce la scena in ambito borghese, più rispettoso di Luca ('Gabriele entrò da lei'); la giovane non è abituata a dominarsi, scappa terrorizzata tenendosi le tempie tra le mani aperte per quell'energumeno piantatosi improvvisamente nel bel mezzo dell'impiantito della sua stanza da letto, e scappa il gatto mentre un Dio decisamente fuori posto non si perita di spiare come una comare. Per il cavalier d'Arpino la società è ancora più cambiata, le architetture sono estranee sobrie e provocatorie, i suoi personaggi possiedono una psiche indagabile, la ragazza è una piena borghese coltivata e alla moda, attraente e che sa come piacere, infatti provoca desiderio, il giovane che la fronteggia è altrettanto attraente; quì il ginocchio piegato esprime un sottile senso diverso che rientra nelle regole del corteggiamento, infatti su entrambi aleggia un gruppetto di amorini : è iniziato il rinnovamento barocco di marca tridentina (d'Arpino ebbe fortuna presso due papi della Controriforma); la scena apparentemente erotica risponde alle nuove disposizioni conciliari di recupero alla fede attraverso il realismo. A Malta a fianco dell'altare maggiore della cattedrale c'è un grande dipinto caravaggesco in cui una deliziosa fanciulla si fa succhiare la mammella da un vecchio attraverso una grata : non è che l'opera di misericordia, dar da bere agli assetati. El Greco è un precursore di Caravaggio, ha una cultura sincretica (è singolare che questo aggettivo sia stato coniato con riferimento ai cretesi) in cui bizantino, veneziano, romano ed espressionismo iberico si mescolano. Non amo i profili appiattii colori acidi, la furia di finire, ciononostante El Greco ha sublimità anticipatrici. I suoi panneggi sfumano in atmosfere d'impasto indefinito dove il sentimento del contorno fiorentino si scioglie, in contrasto con la vergine che è più che reale il ribelle l'ha spostata sul lato sinistro (la luce non viene dall'oriente ?), la donna nelle sue forme opulente sottolineate dal drammatico drappeggio, sta abbarbicata a terra con tutto il suo peso sconcertata dall'angelo che si libra nell'aria presso di lei; i colori sono anticonvenzionali, in particolare la sopravveste ocra chiaro dell'angelo e i capelli tagliati corti e presi nella ventata sono strepitosi; l'angelo la richiama al cielo con un dito e lei sembra supplicare: Proprio io ? in un tripudio di colore, e luce che generano un'atmosfera vaporosa e irreale come se l'indistinzione tra terra e cielo soprassieda all'avvenimento nella geniale intuizione. E' noto che El Greco dipingeva di notte. E poi? Poi infrangendo la sequela storica, in tal modo contraddicendo la mia stessa premessa metodologica, poi il mio preferito delle Annunciazioni, il rivoluzionario, uno che non cura i dettami, il messinese che legge per conto suo Luca e non chiede delucidazioni. Luca non era un apostolo, non visse ai tempi di Gesù e si informò con gente cui i fatti erano stati tramandati. Comincia col riferire la genealogia di Gesù che ha poco da vedere con la concezione divina e scrive : 'Al sesto mese (della gravidanza di Elisabetta, preciso io ) l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città di Galilea detta Nazareth ad una vergine fidanzata ad un uomo chiamato Giuseppe, della casa di Davide; e il nome della vergine era Maria. E l'angelo entrato da lei disse:’Ti saluto o favorita dalla grazia; il Signore è teco,' Ed ella fu turbata da questa parola e si domandava che cosa volesse dire un tal saluto. E l'angelo le disse:’ Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio, ed ecco tu concepirai nel tuo seno e partorirai un figliolo e gli porrai nome Gesù. Questi sarà grande, e sarà chiamato figliolo dell'Altissimo, e il Signore Iddio gli darà il trono di Davide, ed egli regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno e il suo regno non avrà mai fine.' E Maria disse all'angelo:’ Come avverrà questo poiché non conosco uomo?' E l'angelo rispondendo disse : ' Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà dell'ombra sua ; perciò ancora il santo che nascerà, sarà chiamato Figliolo di Dio.' Questo il testo dei propositi superni di cui Maria viene informata dal messaggero che precisa :'... sarà chiamato figliolo di Dio...', come prima aveva detto :'... città di Galilea detta Nazareth...','...ad un uomo chiamato Giuseppe...', '...il nome della vergine era Maria...' ed allo stesso modo, :'...sarà chiamato Figliolo dell'Altissimo...','...il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre ed egli regnerà sulla casa di Giacobbe...', e ancora : '...perciò il santo che nascerà sarà chiamato Figliolo di Dio.' . Questo ha scritto Luca ed è del tutto impossibile che sorgano equivoci o malintendimenti nella ridondanza, e per questo stesso è evidente che il vangelo di Luca sia autentico. Del resto Luca esordisce come segue scrivendo in greco ad un conoscente greco : ' Poiché molti hanno intrapreso ad ordinare una narrazione dei fatti che si sono compiuti da noi, secondo che ce li hanno tramandato quelli che da principio ne furono testimoni oculari e che divennero ministri della Parola, è parso bene anche a me, dopo essermi accuratamente informato d'ogni cosa dall'origine, di scrivertene per ordine, o eccellentissimo Teofilo affinché tu riconosca la certezza delle cose che ti sono state insegnate. ‘ L'unico punto oscuro è quel’... si sono compiuti da noi... ’, ma mettendo da parte queste parole, e accettando l'ipotesi che Luca e gli altri abbiano deciso di scrivere intorno al sessantacinque, resta acclarato che fino a quel momento esisteva solo una tradizione orale circa:'... i fatti che si sono compiuti tra noi...’ . In tal caso cinque anni dopo Gerusalemme sarebbe stata distrutta dall'esercito più moderno del mondo e gran parte della tradizione ebraica sarebbe andata perduta. Pure, questa data del 65 potrebbe essere falsa e accreditata unicamente per giustificare l'assenza di ogni riferimento nelle Scritture alla Distruzione, che era stata profetizzata. Della Distruzione si parlerebbe se i Vangeli avessero mantenuto la loro impronta religioso-territoriale e nazionale che si percepisce nella predicazione ma che è assente dal tono degli evangelisti che evidentemente le sono estranei e la trasformano in elemento indiretto. Perchè accade tutto questo? Perché in un'epoca in cui prevaleva la trasmissione orale dei fatti presso popoli pastori, l'esigenza di scrivere (che in ogni caso avrebbe riguardato piccolissime categorie di letterati), poteva nascere, invece, naturalmente presso comunità raffinate ed abituate da secoli all'annalistica come gli ellenisti-alessandrini che si trovarono sia a rispondere ad una naturale esigenza, sia all'emergenza di impedire la perdita della tradizione dovuta alla distruzione e alla diaspora, anzi sotto questo aspetto potevano dover rispondere più ad un imperativo culturale che religioso. Infatti, l'idea era che mettere per iscritto avrebbe non solo impedito la perdita della memoria ma anche un'ulteriore distorsione dei fatti. Nella fattispecie oltre alle calamità già citate, si accaniva contro 'i fatti compiuti tra di noi' la violentissima avversione Ebraica. La distruzione romana aveva sradicato la trasmissione orale della predicazione dal proprio impianto territoriale nel quale era già avversata, obbligandola a rifugiarsi presso plaghe di cultura greco-romana. Per questi motivi propendo a ritenere che i vangeli possano essere posteriori al settanta e composti presso comunità colte ed estranee alla Palestina. Infatti, la quintessenza della capacità espressiva di un popolo è la sua lingua che nel caso del gruppo di Gesù era l'aramaico e al limite la lingua della Torah. Gli Ebrei, prima dei Romani avevano ricusato come blasfema la cultura della cerchia di Gesù, ne avevano reclamato la punizione esemplare e la dispersione. Luca, infatti, scrive nella sua lingua greca a un conoscente di lingua greca nell'intento di precisare con la massima accuratezza avvenimenti religiosi di una comunità ebrea confutata e dispersa. Circa la veridicità che lui tenta con ogni cura di stabilire egli precisa al suo lettore che si è procurato di informarsi bene presso persone che avevano avuto tramandata la verità dei fatti; il verbo tramandare implica con certezza che tra i testimoni oculari e quelli che hanno ricevuto la tradizione deve esserci almeno una generazione; questa dichiarazione porta la stesura del vangelo di Luca agli inizi del secondo secolo. Luca si dichiara portatore di una tradizione 'tramandata' accertata con massima cura che non gli consente di mescolare gli appellativi dati a Gesù con la sua sostanza d'uomo, figlio di Maria, della casa di Davide di cui riferisce la genealogia. Quanto alla natura del concepimento il testimone unico ne fu la sola madre. Per la completezza delle informazioni va detto che si è ipotizzato che Luca potesse essere un collaboratore di Paolo di Tarso. In tale quadro storico si inserisce la rivoluzione di Antonello. L'angelo è pleonastico e fuorviante, gli orpelli fastosi una falsificazione, Maria non poteva essere istruita, ma un fatto è certo: non poteva essere la donna condiscendente e stupida o falsamente intellettuale messa in scena da secoli e ipostatizzata. Tutto il contrario, lei possiede una coscienza profonda della propria situazione benché le umili origini perché, e ciò è vero, tutti gli Ebrei ricevevano una seria e dura educazione religiosa comprendente anche la civile. Maria è una del popolo e Antonello la rappresenta con i tratti inconfondibili di una popolana siciliana; non solo è consapevole di sé e del mondo, cioè della società e della legge ma è come se volesse dirci di aver subito abuso e violenza dalla tradizione e ora ci voglia parlare direttamente, vuol parlare all'intero popolo di Cristo, lei non è un'ipostasi patristica ma una donna in carne ed ossa detentrice di altissimi principi civili e morali nonché teologici della propria religione: sappiate , sembra dire, io conosco la legge, la filiazione matrilineare la condizione virginale della promessa sposa, e la possibilità che Dio si manifesti attraverso i suoi ministri. La giovanissima conosce l'essenza dei suoi doveri di donna ebrea. E' precisamente per questo motivo che rifiuta di stare di profilo o in atteggiamento equivoco. Di fronte alla proposta lei risponde stringendosi intorno al capo il velo per proteggere la propria verginità mentre mette l'altra mano in avanti... Cosa ammirabile questo dipinto che raddrizza quattordici secoli di storia rendendo eternamente attuale il gesto di Maria ; esso si ripeterà incessantemente per i cristiani fino alla fine della storia. Cosa dice la mani avanti di Maria, assieme all'altra che stringe il velo ? Non è a me che devi fare una simile proposta, io sono la serva di Dio, ma tu sai bene che il mio assenso non può esser dato senza il beneplacito del Tempio e dei ministri di Dio, perché non ci sei andato ? Tu sai che il mio assenso privo del consenso della casa di Dio mi renderebbe solo empia e sacrilega e ciò non può essere il desiderio del mio Signore. Antonello ha fatto giustizia di un potere arbitrario che riconosce come legge non quella formulata e sacramentata nelle Scritture, ma solo se stesso. Antonello, con mezzi estetici semplicissimi quanto mirabili ed unici ricostituisce il mistero dell'Annunciazione. Il dipinto è piccolo ( circa cm.45x35 ),pochi i colori : il blu aurato del mantello,l’incarnato,lo scuro degli occhi e delle sopracciglia,le ombre sul volto e sulla mano protesa,il legno del povero tavolo e del leggio di cui si vedono i chiodi,la pergamena del libriccino dai fogli sollevati perché Maria ha tolto la mano per metterla avanti. Oltre a ciò sono importanti i movimeti : la figura ruota leggermente sul proprio asse verticale perché sospende la lettura a causa dell’intrusione verso cui si rivolge ma gli occhi sono a loro volta ruotati verso destra il che dà l’impressione del guardare storto che accentua il dissenso Che senso hanno i racconti per i quali Maria avrebbe dato il proprio assenso incurante del Tempio e dei ministri di Dio? Che senso hanno i racconti secondo cui si sarebbe sposata da sacrilega senza che qualcuno si ribellasse? E ancor peggio e da un punto di vista strettamente cattolico e romano; che senso avrebbe che questa donna che diede alla luce l'Unto del Signore si sia poi carnalmente unita a Giuseppe dando la luce ad altri figli, mentre la tradizione cattolica obbliga alla castità qualunque donna intenda consacrarsi al Signore senza aver avuto l'immensa predilezione di quel concepimento ? Ciò che sinceramente non serve è il ricorso a funambolismi e artifici logici. I Vangeli devono essere in grado di giustificarsi da soli non devono aver man forte presso le facoltà di teologia, giacché Gesù affermò di essere venuto per i poveri di spirito; i Vangeli non devono avere bisogno di costruttori di torri di Babele. Le mie personali conclusioni le trovo presso Tertulliano che la Chiesa non nomina neanche ma da cui ho tolto il mio titolo. Egli nel ' De carne Christi' scrive: 'Crucifixus est Dei Filius, non pudet quia pudendum est: Et mortuus est Dei Filius, prorsus credibile est, quia ineptum ; Et sepultus resurrexit, certum est, quia impossibile.' La premessa del 'fideismo' è che un sistema filosofico o anche un'attitudine che negano i poteri della mente non sorretti dalla ragione, ai fini del raggiungimento della certezza, affermano che il momento fondamentale della conoscenza consiste in un atto di fede e che il supremo criterio della certezza è l'autorità. Concordo con tale argomentazione a patto che salvi buonsenso e non contraddizione. Ed ecco la traduzione da Tertulliano : Il Figlio di Dio fu crocifisso, non è vergogna perché c'è da vergognarsi: E morì il Figlio di Dio, è del tutto credibile perché è sciocco : Ed essendo stato sepolto risuscitò, è certo perché impossibile.'

lunedì 16 luglio 2012

PINCE-NEZ

Il salone del barbiere era situato all'incrocio Cardinet-Courcelles-Wagram, su uno slargo rialzato in cui i bambini potevano rincorrersi; accanto c'era una pasticceria golosa e, dalla parte opposta di av.Wagram, nella direzione della rue Poncelet, mio amato mercato alimentare, una bottega di carne e prodotti kasher che non riuscivo a non guardare con sospetto. Lui mi riceveva solo per appuntamento facendomi indossare un camice al contrario come negli ospedali americani, per cui partivo da casa con i nervi tesi rimuginando il momento in cui sarei stato ridotto a paziente col didietro scoperto anche se vestito, e lui avrebbe dato inizio ad una sussiegosa e puntigliosa scena di potere con quella faccia di coniglio dai baffetti piatti sul labbro mobilissimo mentre si dava da fare; i momenti più fastidiosi erano: si tolga gli occhiali per favore e, ora può rimetterli, grazie. Cercai un rimedio: cambiare barbiere era impensabile, avrei dovuto prendere il metro o affidarmi ad un salone misto con possibilità di essere tosato da una ragazza. La soluzione arrivò come un lampo: mia madre mi aveva dato i pince-nez di suo padre, usurati su comparse, codici e pandette; sedutastante feci cambiare le lenti e lo spiazzai, entrò in confusione per quei due cerchietti d'oro inusuali che azzeravano la conversazione e rovesciavano le posizioni di potere; feci finta di niente sprofondando nel Paris Match, un settimanale che in condizioni normali non avrei neanche sbirciato all'edicola nei titoli di testa. Ma non potevo tenere in tasca quella protesi troppo fragile che andava sospesa al collo o infilata in un taschino di gilet; trovare un cordoncino era tutt'altro affare. Una sera ero andato al 'Carrè des Feuillants', rue de Castiglione, il cui nome è dovuto alla prossimità del convento dei cappuccini in cui si riuniva il club di quei dissidenti giacobini provenienti dall'omonimo convento di rue St.Honorè; nessuno di essi è più esistente eccetto la chiesa dei Feuillants inglobata in immobili recenti; all'uscita notai, un pò disassata e dalla parte opposta, la vetrina d'un ottico e scopersi Meyrowitz. Qualche giorno dopo vi fui ricevuto da un commesso con un'aria tra intellettuale e aristocratico, uno di quelli che intimidiscono chi entra per sbaglio senza aver idea di dove è entrato; non sembrava stare precisamente dalla mia stessa parte, estremamente deferente e cerimonioso e tirò subito fuori una grossa spoletta di cordoncino di seta nera come se in quella bottega non si vendesse altro; ero ammirato ma non lo diedi a vedere anche se mi trovavo li sulla base di ragionevoli supposizioni; quanto a pagare era fuori discussione mentre mi apriva la porta inchinandosi. Non è che ci fosse da sorprendersi: è lo stesso in qualsiasi città europea, a patto di frequentare i quartieri abitati da gente agiata. Andavo regolarmente a far pipì all'Hotel Meurice, quartier generale della Gestapo durante l'ultima guerra, a due passi da lì, tra le riverenze del portinaio vestito come un maresciallo russo, dell'intera reception, e dei camerieri casualmente di passaggio. A Londra mi era capitato di perdere la vite della stanghetta e l'ottico mi aveva aperto avanti l'ora perchè gli avevo mostrato da dietro i vetri i miei occhiali spezzati e mi trovavo a Kensington; avevano rifiutato il pagamento e poichè insistevo e loro continuavano le riverenze a mani giunte, mi dissero di essere disposti ad accettare una donazione nella cassetta dei terremotati, poichè erano giapponesi. Il principio è che si viene assimilati al genere di clientela abituale, che si aspetta al varco per le grosse spese. Fu lo stesso quando saltò la smaltatura di una sfera del mio Piaget che portai alla succursale di place Vendome da dove fu spedito a Geneve; quando lo ritirai tirato a lucido e oliato si profusero in scuse perchè un incidente del genere non sarebbe mai dovuto occorrere e mi regalarono un costoso catalogo patinato. Per farla breve questa via appartiene al genere esclusivo e ne fanno fede i due nomi citati, conduce a place Vendome, nido del lusso, dove visse fino alla fine dei suoi giorni Virginia Oldoini contessa Castiglione, cugina di Cavour, che tanto si adoperò presso Luigi Napoleone per la causa italiana, fino a rompere il proprio matrimonio; il suo appartamento si trovava accanto al Ritz dove nel 1981 andando a trovare Lucia fu scoperta la bacheca di Isadora che faceva bijoux di galalite: presi un collier, assieme ad una signora che indossava la più bella pelliccia di leopardo che abbia mai visto , e credo che Anne l'abbia ancora, nobilitato dal vintage. Questa parte di Paris è racchiusa in un triangolo rettangolo allungato tra rue de la Paix, avenue de l'Opéra e rue st.Honoré; non nascondo che mi piace ma è diverso dal sentimento che provo per quartieri come Belleville, per esempio, che stanno al centro del cuore del mio cuore. Dalla Comédie Française, au Nemours sotto il cui portico non riesco a sedermi senza che mi affiorino immagini della princesse de Clèves, la chiesa di St.Roch, un pò scorticata, che è quella degli artisti dove andavo spesso ai concerti, la bottega del gioielliere Fabergé un pò miserevole che non sono riuscito a capire se sia un discendente del fabbricatore di uova pasquali degli zar, fino alla singolare place du Marché St.Honoré dove non esiste alcun marchè, nè piazza e neanche St.Honorè che è una via discosta. Fino agli anni 1990 questo luogo poteva suggerire l'idea di piazza per l'esistenza di tutti gli edifici perimetrali di buona qualità che definivano un quadrilatero servito da una stradina che gli girava attorno, ma per parlare di piazza ci sarebbe voluta una zona centrale libera e arredata con fontane, statue, del verde; invece quella parte era occupata da immobili scadenti e affastellati comprendenti perfino una caserma dei Sapeur-Pompiers. Immagino che la BNP abbia concluso un'intelligente operazione acquistando tutti questi brutti edifici e dando incarico a Ricardo Bofil di sistemare l'area in accordo con la municipalità. Nel 1997 fu inaugurato il complesso immobile in vetro, acciaio e cemento suddiviso in quattro parti da due gallerie ortogonali i cui piani alti sono collegati da passerelle. Oggi è un posto alla moda dove tutti i vani terreni dell'antico quadrilatero perimetrale sono caffè, ristoranti, e botteghe di arredamento, abbigliamento ecc.; mi ci recai subito dopo l'inaugurazione ed entrai nella portineria della BNP per chiedere informazioni generali. L'anno prima si era verificato uno spaventoso incendio nella sede centrale del Crédit Lyonnais in rue du 4 Septembre, lo avevo scoperto casualmente andando a trovare un'amica che abitava di fronte: una visione terribile; era un'immobile dello scorcio del XIX° sec. straordinariamente pretenzioso e sovraccarico di decorazioni, qualcosa del genere dell'architettura umbertina e più precisamente del palazzo di Giustizia di Roma, era un tipico esempio di architettura commerciale dell'epoca: le aperture erano orrende occhaie vuote ricoperte di bistro nero; quando mi informai mi dissero che era un fatto doloso con lo scopo di distruggere gli archivi contenenti documenti di uno scandalo finanziario che avrebbe fatto tremare la Francia. Questi i pensieri che mi si agitavano in testa stando alle spalle di un funzionario con borsa di cuoio che stava chiedendo al portinaio di essere annunciato a un direttore della BNP: alla domanda 'Chi devo dire ?', aveva risposto: ' Dica che c'è il Crédit Lyonnais' . In buona sostanza aveva dichiarato di essere l'incarnazione di una banca andata in fumo; non potei impedirmi di sganasciarmi mentalmente: una Banca distrutta si incarnava presso un'altra che stava celebrando il proprio trionfo. Rinunciai a parlare al portinaio perchè per il momento avevo abbastanza materia di riflessione per assumerne altra e scesi verso le Tuileries per la rue des Pyramides (forse dovevo andare da Galignani, la libreria inglese, a cercare qualcosa sullo scandalo o forse, più semplicemente avevo un appuntamento da Angelina per una cioccolata calda). Questa via sottintende Napoleone ed è ad essa che si riferiscono le piramidi realizzate nel 1989 dall'architetto Pei nel cortile del Caroussel allo scopo di illuminare il nuovo ingresso sotterraneo del Louvre e altri ambienti; verso la fine la strada si allarga in una piazzetta minuscola dove venne collocata la statua equestre di Jeanne d'Arc tutta d'oro, perchè in quelle prossimità la pulzella era stata ferita durante lo sfortunato tentativo di presa di Paris nel 1429 o '30. Tale monumento fu commissionato ad un'oscuro scultore, immagino con un retropensiero revanchista, dopo la sconfitta nella guerra franco-prussiana del 1870;i Tedeschi sono patrioti più semplici ed espliciti; come conseguenza della vittoria e della cattura dellimperatore francese e la proclamazione di Guglielmo I° imperatore, Brahms colto da entusiasmo compose il 'Triumphlied' perchè non solo la Germania era unificata,non solo aveva un impero ma aveva anche annesso la Lorena. I Francesi sono assai distanti dagli squarciagola ; procedono per allusioni ed è necessario un minimo d'istruzione per decrittare ed intendere le riserve mentali che nascondono e i proponimenti inconfessati, in questo caso si limitarono a collocare la statua che brandisce un vessillo spiegato (a buon intenditore ) e poi stettero in attesa manovrando sottobanco; fino al 1914 quando quell'onestuomo pacifista di Jean Jaures pensò bene di denunciare in Parlamento le manovre guerrafondaie di elementi del governo: lo uccisero dalla finestra sulla strada del Cafè du Croissant il 31.7.1914. Mi sono recato più volte in quel caffè ed ho preteso dalla proprietaria che mi apparecchiasse il tavolo, messo da parte, e sul quale mi aveva mostrato la macchia che aveva detto essere quella del sangue di Jaures assorbito dal legno; al banco c'erano un paio di clienti che ci schernirono per tutto il tempo, me per la ridicola richiesta e lei per la compunta serietà con cui stava provvedendo a soddisfarla. Nel 1918 i Francesi erano vendicati e pretesero che i Tedeschi firmassero l'armistizio dentro un vagone ferroviario portato espressamente nella foresta di Compiègne, alla presenza del maréchal Foch; il vagone fu conservato nel museo di Compiègne. Quando poi nel 1940 i Tedeschi in pochi mesi riinvasero la Francia umiliandola e dividendola in due, Hitler pretese a sua volta che quel vagone fosse riportato nello stesso luogo del 1918, e lì i Francesi furono obbligati a firmare la resa. Come si vede, dietro al monumento a Jeanne c'è una storia assai sottile e complessa; perdippiù i Francesi non sono affatto d'accordo tra loro su vita e morte dell'eroina nazionale. La storia dice che nacque nel villaggio di Domremy dalla singolare assonanza musicale, che conta 152 anime in quel di Lorena dove c'è la sua casa natale di forma trapezoidale. La storia ufficiale dice che sia stata arsa viva nel 1431, ma il sindaco di Jaulny (altro villaggio in zona) è custode di una tradizione diversa secondo cui Jeanne sarebbe stata sottratta al rogo rifugiandosi presso il castellano di Jaulny, des Armoises che avrebbe sposato formalmente per sottrarsi alla cattura; morì vecchia ma fu seppellita a Pulligny sur Modon, altro villaggio non molto distante. Queste storie lorenesi mi furono confermate nel 1985 dai genitori di Gilles in occasione del suo matrimonio; mi mostrarono una pietra tombale nella chiesa da cui erano stati scalpellati nome e data fin dal XVIII° sec. assicurandomi appartenere alla tomba di Jeanne; ricordo il freddo intensissimo, la neve alta e la sposa che si stringeva nelle spalle malgrado fosse ben coperta . I Vaubourg distillavano una preziosa acquavite di prugne dagli alberi del loro giardino ed il sig. Vaubourg era stato comandante di Bac, passando l'intera vita tra le due sponde del Reno. Al banchetto feci la gaffe della mia vita, stando tra la sposa e la nonna dello sposo; scioccamente chiesi all'anziana signora se, essendo nata in una regione di confine passata più volte di mano, si sentisse più francese o tedesca; andò su tutte le furie. In verità sapevo benissimo della straordinaria retorica patriottica riguardante Trento e Trieste e avrei dovuto rifletterci prima di aprire bocca. Segnai quella monumentale svista nella colonna del Dare nel mio libro mastro del saper vivere.

giovedì 28 giugno 2012

MARAIS

Nel 1960 feci un giro nel Marais perchè una mia conoscente  aveva deciso di mostrarmi i monumenti cospicui della sua città che in quel quartiere erano la colonna della Bastille e la place Royale. Non lo sapevo, ma André Malraux ne aveva già progettato il recupero; quel quartiere aveva fatto la stessa fine del centro storico di Palermo, disertato dall'aristocrazia e dai funzionari regionali in ascesa oltre che dai politicanti e dagli speculatori, tutti a fare la coda negli uffici dell'ex carrettiere Vassallo, braccio operativo del 'Sacco di Palermo' messo a punto dai Gioia, Lima e Ciancimino che avevano deciso di spingere la città ad ovest senza alcun piano  regolatore perchè era meno costoso e molto più remunerativo. Vi erano rimasti gli artigiani che avevano impiantato i laboratori nei cortili dei palazzi in rovina  ed i lavori più delicati nei piani nobili, mentre nei catoi che li assediavano cercava a qualsiasi costo di vivere una plebe affamata e scalcagnata che aveva finito per destare l'orrore pietoso del mondo della cultura nazionale che aveva individuato nel famigerato 'Cortile Cascino' ai Dannisinni  il centro del male di vivere più totale. Gli abitanti del 'Cortile' che in realtà era un quartiere, non avevano l'acqua corrente, il Comune non ritirava le immondizie che venivano gettate lungo il tratto della ferrovia Palermo/Trapani che passava in prossimità e che veniva utilizzato anche come gabinetto collettivo; i loro bambini venivano morsicati dai ratti con cui convivevano. Nel 1956 il sociologo Dolci tenne lì un celebre digiuno ed Enzo Sellerio, cresciuto nel neorealismo, diventò l'occhio di questa socialità della sofferenza che attraverso le pagine dell'Espresso fece il giro d'Europa e degli USA. C'erano cartelli di protesta dappertutto, ma il governo non si dava per inteso, solo la mafia, mossa a pietà ingaggiava di tanto in tanto alcuni maschi per i suoi lavoretti, mentre le donne scarmigliate urlavano cercando di disinfettare ferite purulente e fare sopravvivere bambini rachitici.
 Nel 1969, quando tornai nel Marais, il recupero era iniziato e il Gen.De Gaulle si era dimesso da poco, ma Malraux era riuscito a varare il suo piano di salvaguardia e aveva disposto l'acquisizione dallo Stato di luoghi ed edifici storici. E' una zona ex paludosa che era già stata protetta dai Romani con la soprelevazione della rue St.Antoine; essa si trova a Nord-Est nella Rive Droite ma abbastanza prossima alla Seine che vi infiltrava le acque attraverso terreni permeabili. Verso il IX° sec. vi si impiantarono alcuni ordini monastici cui si deve il drenaggio e la messa a cultura dei terreni. Enrico II° aveva deciso di stabilire la residenza  reale alla Tournelle, ma quel progetto fu abbandonato da Caterina de'Medici a causa dell'incidente nel torneo del 1559. In ogni caso esso venne ripreso da Enrico IV° che, però, spostò di poco la residenza, realizzando la place Royale, cioè quella che si chiama des Vosges, in omaggio al dipartimento che per primo pagò le tasse, e che può essere considerata una prova generale di Versailles perchè ai due padiglioni del re e della regina che si fronteggiano al centro di due lati opposti, si affiancano senza soluzione di continuità tutti gli altri edifici occupati da membri del governo e dalla corte risultandone una struttura solidamente unitaria e chiusa in se stessa con i giardini privati sui lati esterni degli edifici ed un giardino comune  per le passeggiate di corte al centro del parallelogramma edilizio impenetrabile. Una volta, in un caffè sotto i portici incontrai Michèle Mercier che aveva impersonato il ruolo della moglie  in una celebre serie di film con Robert Hossein ispirata a Fouquet, poi cominciai a frequentare l'orologiaio antiquario Richelieu i cui meccanismi  recuperati in ogni dove compresi vecchi campanili, mi mandavano in estasi.
Quando tornai al Marais, come dicevo, il recupero era agli inizi e il quartiere ricordava la mia Palermo con i cartelli di protesta degli abitanti sfrattati e i palazzi puntellati. L'area era vasta, comprendendo l'intero III° arr.e il IV° con esclusione delle isole. Era ancora abbastanza sconquassato e nessuno si sarebbe sognato di andare a viverci eccetto coloro che ci stavano già e non volevano esserne sfrattati non sapendo dove sbattere la testa.
Anne volle mostrarmi la sua scuola : 'Les Métiers d'Art' che era stata impiantata in un hotel particulier del XVII° sec. appartenuto a tale Aubert arricchitosi come esattore della tassa sul sale ai tempi in cui il povero Fouquet sedeva sulla 'sellette' come raccontava M.me De Sévigné alla figlia; da quì il nome di Hotel Salé. Il Gen.De Gaulle  ed il suo ministro Malraux, avevano stabilito che la Cultura era un fattore fondamentale dello sviluppo della Francia (diversamente dal Sig. Berlusconi  e dal ministro Tremonti che stabilirono che in Italia 'con la cultura non si mangia'), pertanto l' Hotel Salé era stato acquisito dallo Stato in base a una legge del 1968 che disponeva egualmente che le tasse potessero essere saldate con cessioni di opere d'arte. La prima conseguenza fu che l'Hotel Salé fosse scelto come sede del museo Picasso i cui fondi d'arte furono formati con 'dations' degli eredi Picasso di opere a saldo di tasse, con donazioni della figlia del pittore ed infine con acquisti da parte dello Stato. Oggi il museo Picasso di Paris è il più importante che riguardi il pittore spagnolo. L'edificio fu restaurato tra il 1974 e l'80.
Mi ci recai all'apertura nel 1985 costatando che la massa di opere era imponente ma al tempo stesso di importanza notevolmente diseguale; per conto mio ne avrei eliminato un bel pò perchè una firma non basta a creare un capolavoro. Il palazzo era stato recuperato egregiamente con attenzione filologica puntigliosa tutta francese, lo avevo visto prima ed ora ero incantato particolarmente dalla bella scalinata e dalla sua balaustra  en fer-forgé nero e oro, arte in cui i fabbri parigini erano inarrivabili quanto a finezza. Dunque, nel 1985 il quartiere era recuperato, gli immobili privati erano stati rifatti con piani particolareggiati di notevole pregio che tenevano presenti sia il tipo di pietra usata che la necessaria presenza di verde e i prezzi cominciarono a salire fino a diventare inabordabili. Che fine abbiano fatto gli occupanti degli immobili demoliti non  so, ma ho il ricordo che un fenomeno simile si era verificato a Napoli, forse nei Quartieri Spagnoli; l'amministrazione del tempo aveva predisposto case popolari alla periferia, ma gli abitanti si rifiutarono di spostarsi per l'ottima ragione che volevano abitare in centro e non avrebbero rinunciato per l'oro del mondo ai loro modi di vita. Al museo tornai più volte per coonestare le mie impressioni; Picasso era sicuramente grandissimo ma aveva anche prodotto un'enorme quantità di cacca. L'ultima volta fui colpito da una China, un nudo perfettamente cubista: aveva usato il corpo come si fa disfacendo una scatola di cartone appiattendone le piegature e riducendo il suo volume ad una superficie per conservarla facilmente e riutilizzarla; l'artista si era concentrato esplicitamente su quella parte del corpo invisibile anche se esso è nudo essendo stretta nella fessura delle natiche, vi si era applicato quasi trasformandola in un emblema 'araldico': una circonferenza piccolissima tracciata presumibilmente al compasso, per il cui centro passavano un certo numero di diametri; di fatto la trovata era geniale e coerente col fine estetico di riduzione geometrica di un solido ad un piano, mi fece pensare a problemi che si era posto Archimede, alla cui soluzione teneva moltissimo come massimo risultato della sua ricerca.
Quando attraversai i giardinetti, sul marciapiede opposto al museo vidi la bottega d'un noto  antiquario-arredatore con un nome simile al mio ed entrai per parlargli, però era troppo indaffarato, mi avviai, quindi, per la rue Vieille du Temple flanando verso la chiesa des Blancs Manteaux che era appartenuta all'ordine dei ' Serfs  de la Vierge' che indossavano lunghi mantelli bianchi verso il 1258 per ordine di S.Luigi; mi ricordai che Eco aveva raccontato in un romanzo che essa era appartenuta ai Rosa-Croce; comunque oltraggiosamente abbandonata malgrado la gradevole facciata barocca.
 Finii rue du Bourg-Tibourg dove venni attratto dalle vetrine ocra col nome in nero di una vecchia bottega; sarà stata la vetustà ad attirarmi, infatti era la più vecchia che avessi visto in città; entrai e, quale sorpresa: si trattava di un magazzino all'ingrosso della metà del XIX° sec. la cui sistemazione mi era più che familiare, infatti uno dei miei nonni ne aveva posseduto uno identico: l'ambiente  era vasto e costituiva la totalità dell'esercizio; a metà della parete di sinistra, parallelo alla porta da cui ero entrato era situato l'ufficio, cioè una specie di guardiola del portinaio di un condominio moderno, tutto a vetri con l'intelaiatura di legno non essendoci all'epoca i profilati metallici; dall'interno dell'ufficio si controllava l'intero magazzino, cioè le porte d'accesso che erano due (una per la merce si apriva al fondo e sulla stessa strada), la bascula, che faceva bella mostra a non più di un metro dall'ufficio stesso, era un tipo di pesa con un pianale di cm.80x120 circa su cui venivano poggiati i sacchi, esso era collegato per mezzo di leve snodate al braccio di pesatura che è di ferro piatto tirato a lucido e porta incise una serie di tacche corrispondenti ai pesi da cento grammi a 25 chili. La lucentezza del braccio è disposizione dell' Ufficio dei Pesi e Misure perchè l'individuazione del peso deve essere facilissima . La pesatura si effettua spostando opportunamente  sul braccio un peso di ottone scorrevole provvisto di un cuneo che va ad incastrarsi nella tacca appropriata che determina l'equilibrio. Sul braccio, dal lato in cui ci sono due punte che devono corrispondersi perchè il peso sia esatto, è appeso un piattello snodato su cui si possono poggiare pesi supplementari che stanno agganciati sul telaio fisso anteriore della bascula, e che moltiplicando per 100 il loro valore permettono di pesare fino a 250 chili. Fatta quest'analisi che includeva alcune sedie Thonet identiche a quelle dell'ufficio del nonno, stabilii che tutto questo era stato conservato per la storia e stava in relazione col concetto di cultura di Malraux. Ora l'azienda era una bottega al dettaglio, infatti  contro  la parete opposta all'ufficio, dove un tempo venivano ammonticchiati i sacchi di the, c'era una  scaffalatura grande quanto la parete e suddivisa in scomparti di circa 50 centimetri che formavano più o meno 150 nicchie  ognuna delle quali era occupata da un recipiente cilindrico di ferro smaltato in scuro con un coperchio a cupoletta, con la sua etichetta in vista. Davanti ad esso correva un lungo banco  servito da 5 o 6 commessi in gabanella grigio-ferro come usava un tempo, che svolgevano attività incessante di pesature di circa un etto. Diedi uno sguardo alla clientela : tutte donne e un paio di tipi indefinibili; mi sembrò strano che trovandomi nel IV° arr.  le signore fossero tutte BCBG del VII° e del XVI° nord. Avevo scoperto per caso la boutique dei Frères Mariage, già esistita nel XVII° sec. e rifondata verso la metà del XIX° : era precisamento il momento in cui in tutta l'Europa continentale tornava di moda il the delle 5. In seguito l'affare ebbe un successo clamoroso, aggiunsero prodotti e fecero qualunque cosa al the, compresa l'acqua benedetta e l'olio santo della chiesa di S.Germain. I Mariage, che non esistono più, importavano circa 500 tipi diversi di the da una trentina di Paesi orientali; Anne ne parlò ad una conoscente e Mariage giunse alla Palermo che conta. Quando mi avvicinai al banco per curiosare fu a tutte evidente che ero un estraneo non iniziato ai sacri misteri, alcune signore che avevano già fatto le loro provviste di 3 o 4 pacchetti estrassero di nuovo le loro Filofax e ricominciarono a salmodiare  mantra esotici allo scopo di umiliarmi con la loro tracimante cultura, e i commessi sorpresi ricomincirono a pesare; alcune portarono via incarti voluminosi solo per la soddisfazione di épater les bourgeois. In ogni caso nessuna di esse avrebbe mai dubitato che le avevo esaminate bene: in quasi tutte avevo individuato lo zampino di Inès de la Fressange, all'epoca musa di Karl Lagerfeld, il mio preferito sia al Faubourg che ad av.Montaigne. I loro pantaloni bianchi o in denim, le camicette semplici e sexy con décolleté arrotondato, gli sweater bleu-marine a V sotto giacchette di pelle o boleri, le ballerine di Céline, rigorosamente nessun bijou, che farebbe 'italiana', eccetto un anello o un semplice braccialetto: tutte rigorosamente Rive Gauche come si conveniva al loro status la cui parola d'ordine è: non farsi assolutamente notare per farsi notare, magari disorientando l'avversario con un'imprevedibile incursione da "Tati".